«L’industria aerea ci impiegherà almeno tre anni per riprendersi dalla crisi, aggravata dalla chiusura degli spazi aerei in Europa a causa della cenere vulcanica», ha detto oggi Giovanni Bisignani, direttore generale della Iata.
Già l’anno scorso il settore ha perso 9,4 miliari di dollari e, secondo le stime della Iata, nel 2010 perderà altri 2,8 miliardi.
Nei soli due giorni di sabato e domenica scorsa, giorni del massimo picco della crisi, le compagnie hanno perso 400 milioni di dollari [al giorno]. La crisi sfonda i cieli europei e colpisce il 29 per cento dell’aviazione mondiale.
La paralisi del trasporto aereo, in Europa, è dovuta in primo luogo alla «frammentazione della sicurezza aerea», ha affermato Der Standard «che prevede già costi elevati». La paralisi decisa a causa dell’eruzione del vulcano poi è stata attivata da una mera simulazione al computer. Tutto il mondo si sarebbe affidato al Met Office, l’ufficio metereologico britannico, «in grado di rilevare ceneri vulcaniche nell’atmosfera mediante registratori laser alla base delle nubi», come si legge sul sit. La notizia pare sia stata anche confermata da Klaus Walter, portavoce della compagnia di bandiera tedesca Lufthansa.
Insomma, se una crisi del settore [e non solo] era già in atto, il vulcano Eyjafjallajokull l’ha solo resa evidente.
Gli scali europei si affrettano a riaprire al traffico, gradualmente. Oggi i voli effettivi saranno il 75 per cento, secondo i dati dell’Eurocontrol, l’organismo europeo di controllo del traffico aereo, contro il 30 per cento di ieri.
Il vulcano, la cui eruzione sembra essersi affievolita secondo gli esperti, ha generato una serie di effetti negativi.
Ad esempio nel settore automobilistico, dove la Bmw ha annunciato la chiusura temporanea di tre impianti produttivi a causa della momentanea riduzione della fornitura di alcuni pezzi indispensabili per l’assembramento delle auto [pare circa 7 mila pezzi]. Stessa sorte anche per tre catene di montaggio della Nissan: i pezzi prodotti in Irlanda non riescono ad arrivare in Giappone per cui si chiude.
10 mila le tonnellate di merce è poi rimasta ferma negli aeroporti internazionali. La maggior parte era deperibile: frutta, verdura, pesce e anche la mozzarella. Secondo i dati di Coldiretti il «Made in Italy» dei prodotti agroalimentari esportati sarebbe di circa dieci milioni di euro in una settimana: un duro contraccolpo economico.
La nube di cenere ha colpito anche l’Africa, che esporta verso l’Europa un enorme quantitativo di merci. In questo caso a farne le spese sono state dieci milioni di rose del Kenya destinate al mercato europeo e italiano, come anche le susine e l’ananas del Ghana. Poi c’è chi ci ha guadagnato invece. Ad esempio alla New Zealand King Salmon», una associazione di allevatori di salmone, è arrivato un ordine ingente da Dubai, proprio perché i salmoni scozzesi sono rimasti bloccati in patria a causa della chiusura dello spazio aereo nell’emisfero settentrionale della Norvegia. Piccole storie ma significative. Come quella di Massa Carrara.
Secondo i dati della Coldiretti, infatti, la provincia «non subirà ripercussioni di alcun genere. I prodotti locali sono nel 90 per cento per il consumo sul territorio attraverso la rete di vendita diretta, mercati agricoli, agriturismo, ristorazione, spacci e piccole botteghe, e solo una piccola parte – in particolare per il vino con etichetta [Doc e Igt] – verso l’estero.
Insomma, potrebbe essere la rivincita delle economie locali.
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