Quel che resta dell’atomo italiano

La geografia degli impianti nucleari italiani, da Vercelli a Trisaia, in Basilicata, è un’eredità ancora pesante. Le scorie radioattive partono per la Francia dopo il fallimento della Sogin, la società pubblica incaricata di «disattivarle».

La prima iniziativa industriale in campo nucleare avviata in Italia ha sede a Trino Vercellese [Vercelli].
Si tratta della centrale «Enrico Fermi», di proprietà della Edison, costruita tra il 1961 e il 1963.
Nel 1966, per effetto della nazionalizzazione elettrica, diventò di proprietà di Enel. Negli anni succesivi diversi «problemi tecnici» hanno fermato la sua attività, fino a che–nel luglio 1990–il Cipe ha disposto la sua chiusura definitiva dando mandato all’Enel di predisporre il piano di decommissioning. Nel novembre 1999 l’Enrico Fermi è passata alla Sogin, la società dello stato nata in quell’anno per gestire la chiusura degli impianti nucleari italiani, e la gestione dei rifiuti radioattivi. Oltre alla centrale di Trino, Sogin gestisce le altre tre centrali nucleari di Caorso, Latinae Garigliano. Nel 2003 le sono stati affidati in gestione gli impianti di ricerca sul ciclo del combustibile dell’Enea, l’impianto Eurex di Saluggia [che doveva riprocessare i combustibili dei reattori di ricerca della Comunità europea], gli impianti Opec e Ipu della Casaccia, alle porte di Roma [laboratorio che eseguiva esami su combustibili irraggiati], l’impianto Itrec [Impianto trattamento elementi combustibile] di Trisaia di Rotondella [Matera], che aveva lo scopo di riprocessare il combustibile irraggiato e l’impianto di Bosco Marengo [Alessandria], acquisito nel 2005, che fabbricava combustibile per le centrali nucleari italiane ed estere.

Altra centrale in fase di smantellamento – la prima a entrare in funzione in Italia–è quella di Latina, realizzata a partire dal 1957 dall’Eni. La centrale di Garigliano [Caserta] è stata costruita nel 1957 dalla General Electric e bloccata nel 1981 per malfunzionamento. Secondo la Sogin sarà smantellata entro il 2016. Quella di Caorso [Piacenza] è la più grande centrale nucleare italiana, progettata e realizzata da Enel, Ansaldo meccanica nucleare e Getsco.
A Caorso è ancora stoccato il combustibile usato per alimentare il reattore e che sarà riprocessato negli impianti francesi.
Nel 2007 la Sogin ha infatti firmato per 250 milioni di euro con la francese Areva il contratto per il trattamento del combustibile italiano e per le scorie nucleari provenienti da Caorso, Trino e Garigliano. Il trattamento delle 235 tonnellate di combustibile irraggiato avrà luogo nello stabilimento di La Hague, i rifiuti finali torneranno in Italia entro il 31 dicembre 2025. Lo scorso 7 aprile da Caorso è partito il terzo carico di cask [così si chiama il nome del contenitore cilindrico all’interno del quale è sistemato il combustibile] di barre di uranio diretto in Normandia.

Secondo Alfonso Pecoraro Scanio alcune di queste centrali potrebbero essere «rilanciate» dal nuovo governo. Pecoraro ha citato Trino Vercellese, ma anche Fossano e Caorso. «Si parla e si sta studiando un posto vicino Ravenna–ha detto l’ex ministro dell’ambiente–Ma c’è anche San Benedetto del Tronto, Mola di Bari. E sicuramente un sito in Sardegna e uno in Sicilia. Hanno in mente un progetto per riempire l’Italia di centrali nucleari». Intanto la Sogin, alle prese con grosse difficoltà finanziarie, non ha ancora risolto la questione del sito di stoccaggio finale dei rifiuti radioattivi.
Sarà uno dei temi dei prossimi mesi.

No Dal Molin – CMC – Ravenna

Infelicità Tauro

Un viaggio nella Piana di Gioia Tauro, un tempo popolata di ulivi e mandarini e oggi aggredita da inceneritori, centrali, rigassificatori: un’incredibile concentrazione contro la quale è nato il Movimento calabrese per la difesa del territorio.

«Ogni cosa si tinge con le diverse tonalità del colore viola, dando vita ogni sera, con i suoi spettacolari riflessi, ad una visione sempre nuova». Così disse Platone, quando dal mare vide la costa calabrese tirrenica. Da allora questa lingua di terra, immediatamente a nord di Reggio Calabria, ha preso il nome di Costa Viola. Che direbbe ora Platone se rivedesse il mare che viola non è più?

Arrivando in treno fino a Rosarno, non ci si aspetta di essere inghiottiti nel verde intenso dei campi sterminati di mandarini e ulivi. Qui la terra è ricca d’acqua. Ma non siamo nella regione più povera d’Italia? Dalla stazione al presidio del Movimento per la difesa del territorio [Mdt] il tratto è breve. Peppe, Maurizio, Iacopo e il signor Giuseppe, padre e figlio, sono alcuni dei presidianti. Il tendone si
trova in località Spartimento, chiamata così perché divide il territorio di Gioia Tauro da quello di Rizziconi, al margine di un uliveto e quasi di fronte all’inceneritore. Non questo è l’unico «mostro», come a ragione lo chiamano quelli del presidio, ad affondare le sue radici velenose nella «Chjàna», la Piana di Gioia Tauro.

L’elenco è impressionante. C’è l’inceneritore, costruito senza Valutazione d’impatto ambientale [Via], di proprietà della multinazionale francese Veolia: brucia–senza filtri, come ha dichiarato lo stesso sindaco di Gioia Tauro, Giorgio Dal Torrione, dell’Udc–120 mila tonnellate l’anno di rifiuti. È previsto il raddoppio del mostro ma c’è anche una discarica, quasi satura, che contiene di tutto e che accoglierà anche 250 mila tonnellate di rifiuti provenienti dall’«emergenza» Campania. «Lì dentro – dice Peppe – si continua a sversare anche da altre province, come quella di Crotone, e non si dovrebbe. Sono prove tecniche per creare una emergenza che giustifichi il raddoppio dell’inceneritore». Peppe lavora nel campo dello spettacolo tacolo a Perugia, ma per un po’ si è trasferito a Rosarno, è nel movimento dalla sua fondazione, cioè da circa due mesi.

Proprio qui vicino, a Rizziconi, c’è anche una centrale turbogas. Come se non bastasse, di turbogas ne sono previste altre due, una a Gioia Tauro e una a San Ferdinando, un paese qui vicino. Ancora: in pieno centro cittadino c’è un megadepuratore consortile dove arriva il percolato dalle discariche di mezza Italia. Il commissario all’emergenza rifiuti, il prefetto di Catanzaro Salvatore Montanaro, cosa fa? «Manda un’ordinanza, ai sindaci, con la quale impone di far scortare dai vigili urbani i camion che escono dai frantoi e trasportano sansa e altri scarti di lavorazione delle olive fino ai campi, dove saranno svuotate, per evitare che il liquame finisca nel depuratore, infischiandosene degli altri liquami, quelli tossici e nocivi», dice Iacopo, giovane architetto.

Ci sono poi i due mega-elettrodotti, da Rizziconi fino a Laino, al confine con la Basilicata, che occupano una superficie di circa 10 mila ettari.
«Erano stati bloccati perché passavano all’interno del Parco del Pollino, poi, dopo il black out del 2005, i lavori sono terminati nel giro di un anno, con un costo aggiuntivo di 28 milioni di euro, perché, dopo le proteste degli abitanti di Laino Borgo contro il passaggio dei mega-piloni nel centro del paese, il progetto ha subito una variante», dice Michele. Lui, prima di entrare nel Mdt, ha fatto un lungo «rodaggio» nel movimento No Dal Molin. Sua moglie Antonella è vicentina: «Facciamo avanti e indietro da Vicenza–dice lui–gli impegni sono tanti». Michele ha un’azienda agricola, coltiva cibi biologici e produce ottimo olio.

Per finire in bruttezza con l’elenco dei «mostri», c’è il progetto per la costruzione di un rigassificatore nell’area del porto di Gioia Tauro e di una centrale a biomasse.

«Prima che nascesse il presidio, le polveri provenienti dall’inceneritore coprivano tutto, e gli abitanti di contrada Bosco di Rosarno erano costretti a restare chiusi in casa–racconta Iacopo – Ma da quando abbiamo montato la tenda i camion che scaricano materiale nell’inceneritore hanno cominciato a diminuire di numero. Le file di autotreni che vengono da tutta l’Italia piano piano si sono accorciate». Mentre parliamo sotto il gazebo del presidio i camion e gli autotreni continuano ad andare e venire sollevando polvere. Poco più in là c’è la roulotte dove i ragazzi fanno i turni per dormire di notte. È un presidio giovane ma i ragazzi di Mdt lo stanno dotando anche con una cucina mobile e il buon cibo non manca, come la crostata metà frutta e metà cioccolato che ci porta Gabriella all’inizio della serata. E dopo la merenda s’improvvisano balli di coppia, a metà tra il popolare e il latinoamericano, intorno al fuoco acceso dentro vecchi bidoni arrugginiti. «Un giorno è arrivato anche un autoarticolato: non era un camion che trasportava rifiuti, ma un mezzo per il trasporto merci con targa lituana. Gli autisti parlavano in russo e ci hanno solo detto che trasportavano sostanze chimiche», continua Peppe. Ancora Iacopo: «Molta gente non sa neanche dell’esistenza dell’inceneritore e fa confusione con il megadepuratore che, tra l’altro, costringe un intero quartiere a tapparsi dentro casa. I cittadini mettono stracci bagnati alle finestre».

Tra la gente la «confusione», come dice Iacopo, su tutti questi impianti e sulla loro reale funzione è grande. Perciò qualche mese, grazie all’impegno volontario di un gruppo dei cittadini, molti dei quali giovani, è nato appunto Mdt. Lo scopo: informare i cittadini sulla pericolosità di questi impianti di smaltimento dei rifiuti e spiegare come fare una buona raccolta differenziata. Ma non sono solo i cittadini a essere disinformati. «Questa mattina, uno degli autisti di PianAmbiente, la società compartecipata che gestisce la raccolta dei rifiuti solidi urbani e della differenziata in tutta la Piana, si è fermato qui per salutarci e ha chiamato l’inceneritore ‘discarica’ – dice Peppe–Il messaggio che è venuto dalla cosiddetta emergenza rifiuti di Napoli, con la complicità scandalosa di intere redazioni, ha funzionato alla grande. Cioè si è fatto capire che la crisi di Napoli è causata dal fatto che i napoletani non vogliono le discariche e non vogliono gli inceneritori. La conseguenza è che qui sono in molti a sostenere che gli inceneritori sono necessari. ‘Altrimenti va a finire come a Napoli’, dicono».

Il rumore di una motosega fa da sottofondo ai discorsi che s’incrociano sotto la tenda del presidio. Pochi passi più in là cadono, una dopo l’altra, piante d’ulivo secolari. Gli ulivi vecchi, nella Piana di Gioia, sono enormi. «Sono piante malate, improduttive – dice il signor Giuseppe – Una volta questo era un uliveto unico al mondo, ora lo si sta distruggendo». Fa segno con la mano indicando gli ulivi: «Vedete quelle cime secche? Può essere dovuto all’inquinamento o al Gloeosporium, una malattia dell’apice vegetativo. Ma ci sono delle piante che non producono affatto. Ce lo raccontano i proprietari. Le più giovani hanno trecento anni, ma quelle che si trovano verso l’Aspromonte, la parte più antica, possono raggiungere i mille anni. Alcune sono così grandi che tre o quattro persone non riescono ad abbracciarne il tronco. Ma è lontano il tempo in cui si sentiva l’odore della zagara, l’odore dell’olio, quello dei campi». Il signor Giuseppe ci intrattiene con aneddoti sulla storia di questa terra, quando «a Gioia le strade trasudavano olio». Nella sua azienda produce concime, pellet, quello che è stato ribattezzato il «combustibile del futuro», e verdure biologiche che coltiva personalmente usando macchinari autocostruiti.
L’inquinamento di cui parla il signor Giuseppe è anche quello provocato dai rifiuti tossici sotterrati nell’Aspromonte, come hanno denunciato alcuni sindaci della zona. Il sindaco di Cosoleto, Angelo Sorace, da molto tempo parla degli alti tassi di mortalità per cancro tra i suoi concittadini. I cacciatori raccontano che in Aspromonte anche i cinghiali stanno morendo di tumore.

«Sembra quasi un progetto per distruggere questa zona. Poi magari arrivano finanziamenti per il biologico – dice Iacopo – Ma come si fa a coltivare biologico qui? Se la centrale a biomasse fosse stata piccola avrebbe potuto anche essere utile, perché si recuperano gli scarti delle potature e altro. Ma questa è enorme, brucia 120 mila tonnellate annue. Il fatto è che la legge italiana consente di assimilare il cdr alle fonti rinnovabili e quindi nelle centrali a biomasse si possono bruciare anche i rifiuti. Pare proprio che sul nostro territorio stiano nascendo tanti inceneritori camuffati». «Anche perchè ormai per i nuovi inceneritori non sono più previsti i Cip6, i finanziamenti alle fonti rinnovabili ‘assimilate’ come i rifiuti, per le centrali a biomasse sì», aggiunge Michele.