Da una parte ci sono asettici scaffali ordinati per nome, per casa editrice. Un muro di libri. Selve di pagine e locandine che promuovono bestseller. Le «ultime novità» ti aspettano fameliche appena entri. Sono il vero affare delle grandi librerie, ormai tutte in «franchising ». Cerchi un libro? Puoi consultare liberamente un terminale, che ti dice dove trovarlo. I commessi sono lavoratori precari. E la grande distribuzione la fa da padrona. A scegliere cosa vendere sono i grandi gruppi editoriali e le grosse case editrici, che comprano gli scaffali e poi li riempiono.
Dall’altro lato ci sono piccole librerie «fatte in casa». Ci lavorano poche persone, artigiani che seguono ogni singolo lettore, e ogni singolo libro, rispondono a curiosità e richieste. Fanno una cosa strana: dialogano. Da questa parte del mondo dei libri però la vita è dura, si è strozzati dalla grande distribuzione e dal perverso meccanismo degli «sconti». Però è solo qui che si riescono a scovare titoli rari, che scalpitano per essere conosciuti. È il mondo delle librerie indipendenti.
«Io sono quello che lavora dietro il bancone, quello che non si vede mai–dice Pietro Porceddu, della libreria «La pergamena» di Oristano–Siccome la libreria è piccola e non abbiamo molto spazio, come magazzino utilizziamo casa nostra». La libreria di Pietro e Elisabeth, la sua compagna, è specializzata nella ricca letteratura e saggistica sarda: «Per quel che ne so è la più ampia nel panorama italiano», dice Pietro. Sugli scaffali de La Pergamena spiccano i libri delle piccole case editrici. «È un lavoro complicato, come quello della gestione della fornitura, della richiesta e della resa dei libri», aggiunge Pietro. Lui ne sa qualcosa perché si occupa della parte amministrativa e dell’archivio. «Essendo piccoli non possiamo ordinare molti libri – spiega–Con la maggior parte dei fornitori delle case editrici abbiamo la possibilità di restituire quelli non venduti. Normalmente però c’è una percentuale massima di resa. Ad esempio, se su mille euro di libri riusciamo a venderne 600, sui 400 euro di libri che restano, e che vanno resi, facciamo delle scelte che servono a qualificare sia la libreria che l’offerta. Cerchiamo infatti di proporre anche libri ‘difficili’, perché riteniamo sia importante che vengano letti. Con questo tipo di scelta capita però che un libro resti sugli scaffali anche per due anni». «Per le rese – continua Pietro–devi chiedere una autorizzazione e, oltre ai pacchi e pacchetti, devi fare anche un elenco che comprende ogni singolo libro e ogni singolo prezzo. È un sacco di lavoro e molti di questi titoli non ti vengono neanche accreditati. Se chiedi spiegazioni, ti senti rispondere semplicemente che il libro ‘non era sulla lista’».
Niente a che vedere con la grande distribuzione, che non fa resa perché compra solo i libri che sa che riuscirà a vendere. In più, acquistandone grosse quantità, ottiene dalle case editrici uno sconto fortissimo, anche più del 50 per cento. Per le piccole librerie si parla invece solo di un 28 per cento.
«Tenere aperta una piccola libreria ormai è una lotta», dice Mario Azzalini della libreria «Il Punto» di Vittorio Veneto [Treviso]. «Siamo diventati i facchini degli editori – spiega–Ci inondano di novità perché devono fare lavorare il più possibile le tipografie, che nel caso della Mondadori sono di Berlusconi. Il problema del mercato è anche questo: ci sono degli editori che hanno anche le tipografie e se per caso, come per la Mondadori, quest’anno le vendite non tirano, devono comunque far lavorare le tipografie. Così la Mondadori prima ha inventato i libri allegati ai giornali, poi ha stampato le novità che, pur sapendo in partenza che non venderanno, mandano a noi librai, già fatturate. Si finanziano in questo modo, con il lavoro delle librerie».
Questo perverso meccanismo è il cosiddetto «ordine d’ufficio», che «non si può rifiutare–spiega ancora Mario – è una specie di ‘patto mafioso’. Se rifiutassi un ordine alla Mondadori e comprassi solo quel che mi serve, comincerebbero a togliermi delle agevolazioni, ad esempio abbassando la percentuale di sconto. Fanno in modo che non si possa dire di no».
Nonostante questo c’è chi prova, riuscendoci, a sopravvivere nella giungla del mercato. La libreria si chiama «Rinascita» e ha aperto a Romalo scorso settembre, nel quartiere di Centocelle. Libreria indipendente. «La nostra apertura è stata molto apprezzata dagli abitanti – spiega Flavia Castelli–effettivamente serviva un luogo che, oltre a vendere libri, fosse anche un centro culturale dove organizzare presentazioni, dibattiti e concerti».
Il lavoro di Rinascita supera le mura della libreria, e incontra quello delle numerose associazioni, scuole e biblioteche del territorio. «La nostra libreria riesce a fare un po’ di concorrenza al megastore, è abbastanza grande e c’è anche la caffetteria, ma soprattutto nel piccolo ricrea l’atmosfera della vecchia libreria, dove c’era il libraio a consigliarti. È forse questo che attira le persone, il rapporto diretto con il cliente, a cui teniamo particolarmente».
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